subbuteo e punti di svista

Capitolo 10

Eccoci arrivati all’ultimo capitolo di questo “esperimento”. Alla lunga diventa difficile parlare di Subbuteo se non si gioca a Subbuteo, appunto.

subbuteo e covid-19

Questo 2020, purtroppo, non farà la fine di altre annate anonime che ricordiamo solo per un paio di eventi particolari. Quest’anno ce lo ricorderemo bene e per intero, resterà nei libri di storia, verrà raccontato a figli e nipoti così come i nostri nonni, per chi ha avuto la fortuna di averli, ci hanno raccontato gli episodi della loro infanzia.

Tutto è cambiato. Tutti hanno subito un contraccolpo, chi economico, chi affettivo. C’è chi ha dovuto fare i conti con disagi lavorativi, cassa integrazione, conti in rosso e c’è chi ha perso il lavoro o è in attesa di sapere cosa gli riserverà il futuro. E poi c’è chi è stato male o ha perso un amico, un familiare. Tutti problemi importanti, seri, prioritari su tutto ovviamente anche sul Subbuteo.

Non si è giocato, non ci sono stati i campionati, le promozioni le retrocessioni, le trasferte, i commenti sul goal o sulla difensiva millimetrica, i veleni su quel giocatore antipatico o gli abbracci con chi vediamo una o due volte all’anno. In compenso abbiamo avuto la politica. Dimissioni, sostituzioni, campagne elettorali, tribune politiche e, finalmente, l’elezione di un nuovo direttivo. In questi mesi quindi, il materiale a disposizione per chiacchierare di pallonetti e fuorigioco era tremendamente scarno. Non volevo nemmeno continuare a parlare esclusivamente di ciò che non va bene nel nostro micromondo.

Allora eccoci qui a raccontare, o almeno a provarci, i diversi punti di vista di alcune delle anime che ruotano intorno ai panni verdi e alle miniature più o meno basculanti. Abbastanza semplice descrivere le visioni e gli stati d’animo dei due giocatori, un po’ meno quello che riguarda i “co-protagonisti” e chi ci vede completamente dal di fuori e nulla conosce di noi.

Indiscutibilmente abbiamo alcune luci e parecchie ombre che ci fanno da contorno ormai da molto, troppo tempo ma abbiamo anche ciò che ci ha, probabilmente, salvato in questi decenni, l’enorme dose di romanticismo celato all’interno delle nostre valigette. Lo stesso romanticismo che ci fa andare al club per “allenarci” anche se c’è la Champions o che ci fa affrontare trasferte chilometriche tralasciando la famiglia o che ci fa preparare la sala dove faremo il torneo, trasportare i campi, giocare ed arbitrare e poi rispostare i campi anche se il giorno dopo ci aspetta il turno di lavoro nonostante il mal di schiena o che ci spinge a cercare nuovi giocatori, sponsor, sedi di gioco, magliette e tute che ci facciano apparire non belli ma “professionali”.

Tutto questo, per molti di noi, viene fatto da trent’anni o più con esiti altalenanti e mai definitivi. Ognuno di noi è convinto di avere la ricetta per salvare il Subbuteo/Calcio da Tavolo, dal punto di vista normativo, associativo, tecnico, sportivo, divulgativo, pubblicitario.

Purtroppo, quasi mai queste ricette vengono condivise, tanto meno applicate, nonostante la buona volontà di alcuni, come se fossero segreti di famiglia da custodire gelosamente.

Ma un piccolo aspetto positivo, per chi come me vuol vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, e che in questo periodo abbiamo avuto la possibilità di riflettere, seriamente, su ciò che abbiamo fatto, su ciò che bisognerebbe fare e su ciò che effettivamente faremo. I miei “Punti di svista” volevano essere un piccolo momento di svago, ma anche fornire una fotografia vasta che potesse comprendere all’interno sia la parte emotiva che la parte pratica e che ci permettesse di metterci nei panni di uno o dell’altro protagonista, rivivendo magari situazioni che hanno fatto parte della nostra esperienza o facendo immaginare ciò che può aver provato chi, in qualche modo, era lì accanto a noi intanto che giocavamo.

Ed è proprio qui che, come si suol dire, casca l’asino.

Partendo dal principio che quasi tutti noi siamo stati, almeno una volta, nei panni dei vari protagonisti, quante volte riusciamo a metterci di nuovo al posto, ad esempio, di chi organizza un evento? O del ragazzino che viene a vederci giocare? O del giornalista che non ha la più pallida idea di chi o cosa siamo?

Troppo spesso ci dimentichiamo di non essere gli unici protagonisti di questo gioco/sport. Troppo spesso l’agonismo esasperato ci fa dimenticare il percorso che abbiamo fatto per arrivare a vivere quel momento o che un evento, un torneo, una partita, non possono e non devono diventare una piccola guerra tra piccoli uomini. Il compito di ognuno di noi dovrebbe essere quello di trasmettere il bello e il buono di questo mondo.

Dovremmo far sì che chi gira intorno a noi e alla nostra valigetta, la famiglia, il pubblico, la stampa, gli under, chi non gioca, ma ci fa giocare, riesca a vedere l’entusiasmo che riusciamo ancora a mettere su di un panno verde. Riesca a capire cosa si prova durante una partita tra amici o leali avversari. Riesca ad immaginare le emozioni che ci sovrastano segnando un goal o subendolo. Questa potrebbe essere una delle poche possibilità che ci restano. Riuscire a trasmettere le emozioni che ci fanno ancora svegliare all’alba, per andare al torneo o uscire dopo cena per fare due tiri con gli amici. Ben vengano iniziative, progetti, investimenti economici, idee sfavillanti, nuove tecnologie. Sicuramente, mai come oggi, abbiamo la necessità di dare una sterzata violenta e decisa verso una nuova direzione, verso nuove sfide.

Ma, secondo me, la sfida più grossa sarà quella di riuscire ad emozionare tutti coloro a cui avremo l’opportunità di far conoscere il nostro micromondo. Per questa serie di articoli ho preso spunto da quella che viene definita “la partita del secolo”. Quell’Italia Germania 4 a 3 del 1970 che tutti, anche chi non era ancora nato, conoscono.

Roberto, Sandro, Ferruccio, Gianni, Giacinto, Tarcisio, protagonisti dei miei articoli, sono i nomi dei giocatori di quella nazionale che, a distanza di cinquant’anni, ancora fa parlare di sé e ancora lo farà negli anni a venire, non per le giocate eccelse dei protagonisti, bensì perché rappresentò uno dei momenti più emozionanti della storia dello sport italiano, un evento che riuscì ad unire ancor di più, anche se solo per qualche tempo, un intero popolo e che fece dimenticare tutti i problemi e le differenze che caratterizzavano quel periodo.

Questa è l’idea che mi ha condotto intanto che scrivevo. Volevo descrivere alcuni dei problemi che ci accompagnano da sempre ma anche e soprattutto, quello che, troppo spesso, fa solo da contorno e quasi mai è protagonista. L’emozione! Mi auguro di esserci riuscito o almeno di esserci andato vicino.

Ora vi saluto, non prima però di avervi augurato di vivere un nuovo anno sereno e straripante di emozioni positive, nella speranza che ci porti finalmente un po’ di tranquillità e che ci permetta di poterci riabbracciare prima di una bella partita. Continuiamo a fare attenzione perché, nella vita reale, nessuno chiamerà back.

A presto.


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