diari del subbuteo 14 febbraio

San Valentino… protettore degli innamorati ma spesso protettore anche dei giocatori, della categoria maschile, di Subbuteo che usano questa ricorrenza per tamponare i giusti malumori di mogli o fidanzate, troppe volte messe in un angolo per quel torneo a cui non si può mancare, o per l’allenamento del giovedì che è sacro quanto la messa della domenica per un credente.

Allora via con la fantasia. Un bel mazzo di fiori? Non va bene. Non è un regalo che faccio di frequente, potrebbe pensare che ho qualcosa da farmi perdonare… Un completo intimo? Sì, così poi sbaglio la taglia e si imbufalisce. Meglio di no.

Trovato. Una bella cena. Intima il giusto. Né troppo, né troppo poco. Un buon compromesso, magari con un occhio anche al portafoglio visto che dovrei pure cambiare le basi! Oltretutto riuscire a farle digerire che per la festa degli innamorati io sarò via tutto il giorno per il nostro regionale… Sarebbe più semplice battere il campione spagnolo… In realtà, come spesso accade, mi guarda come si guarda il micino che cerca di saltare dalla sedia al tavolo e scivola miseramente… Un misto di dispiacere, compatimento, e di: “lo sapevo che finiva così”.

Di certo aiuta avere al fianco chi capisce che sei malato di “back” e pallonetti all’incrocio. Se poi la chiami raccontandole come sta andando il torneo e lei, come in Rocky IV, ti dice: “Vinci!…” È fatta!

E così, tra la preparazione del torneo, due chiacchiere, una bella mangiata tutti insieme, sono arrivato in finale. È un regionale certo, non sono i mondiali. Ma era da decenni che un cremonese non arrivava in finale e questo è un torneo particolare perché se lo vinci per tre volte, anche non consecutive, porti a casa il trofeo.

In ogni caso il tuo nome viene aggiunto alla targhetta che è sul basamento. Chiunque giocherà o vincerà in futuro questo trofeo, troverà il mio nome inciso sopra, al fianco di campioni del passato e del presente e, speriamo, del futuro.

La partita è tesa. In realtà sembra più tesa per il mio avversario che per me. È il destino degli outsider. Ti sottovalutano finché non arrivi lì, ad un passo dalla vittoria ed è a quel punto che mentre tu sei consapevole di non aver nulla da perdere, il tuo avversario si preoccupa. Inizia a chiedersi come sia possibile aver trovato uno qualunque in finale. Subentrano i ricordi di quando ti ha battuto quasi agevolmente l’ultima volta. Ma serpeggia anche quel filo di tensione perché, se sono arrivato fino a lì, o ho avuto una gran fortuna, o potrebbe essere la mia giornata. Intanto che lui rifletteva io facevo il primo goal.

Primo tempo equilibrato. Cambiamo campo sul 1 a 0 per me.

Secondo tempo. Pronti via mi faccio fregare dalla maggior esperienza e malizia del mio avversario e becco il goal del pareggio. Ma continuo ad avere in testa mia moglie, in pieno stile Adriana, che mi incita roteando sulla testa un asciugamano, indossando una vestaglia giallo nera con scritto il mio nome. Potenza del pranzo con la porchetta… Inizio ad attaccare. Praticamente ho il controllo della partita e continuo ad avere occasioni importanti, risolte magistralmente dal mio avversario che sembra avere i riflessi di un quindicenne o il portiere grande il triplo del consentito.

Mancano poco più di due minuti. Sono a due tre centimetri dal lato corto di destra della sua area di rigore. Il tiro è libero. Lui piazzato quasi benissimo. Quasi appunto. Lascia un buco sul primo palo. Però si muove. Piccoli movimenti certo ma sufficienti per farmi immaginare un bel pallonetto sul palo più lontano. In un attimo mi tornano in mente tutte le volte che sgridavo i miei ragazzi che si ostinavano a provare palombelle degne del Maradona del Subbuteo. Tutte le volte cercavo di  fargli capire che l’obbiettivo era segnare e non scavalcare il portiere. Roba di un paio di secondi. Tiro secco. Primo palo. Basso. Rete!

Girandomi, caccio un urlo, secco, di gola: “YEAH”.

Rimettiamo a posto gli omini. 1 e 40 al termine. Sono teso ma il mio avversario lo è di più, sa che il tempo che gli è rimasto per raddrizzare la partita è poco ed io voglio questa vittoria. Tengo botta, riesco a non farlo entrare in area di tiro. Mancano 30 secondi e riprendo il possesso della pallina. Dovrei fare melina, ma non ne sono capace, mettiamoci poi il rispetto per l’avversario e quella difensiva troppo corta e quello spazio così invitante… ingresso e tiro… 3 a 1… l’avversario mi da la mano, l’arbitro mi da la mano, poi tutti mi danno la mano, mi abbracciano, si complimentano. Mi si disegna in faccia un sorriso da ebete che sospetto resterà lì per diversi giorni.

Foto di rito, qualche minuto per riprendermi, poi cerco il telefono. Squilla. Vorrei fare il cretino come sempre e gridare “L’ho spiezzato in due!”. Invece resto in silenzio, dall’altra parte sento: “Ciao amorino, com’è andata?”, riesco solo a rispondere “Ho vinto”. Poi mi devo sedere. Che idiota. Manco avessi vinto la super coppa dell’universo ed una miliardata di euro. Invece ho solo vinto un torneo regionale di Subbuteo.

Difficile spiegare cosa scatta nella testa. Meglio passare oltre e mettere via i campi. Devo correre a casa, una doccia veloce, poi abbiamo una cena che ci aspetta ed un San Valentino da festeggiare. Quando entro in casa probabilmente sprizzo gioia da tutti i pori e mia moglie, che mi conosce a memoria, se ne accorge. Nonostante la giornata romantica per eccellenza l’abbia passata da sola, è felice per me. Vedo le stelline nei suoi occhi o forse sono nei miei e quindi le vedo ovunque. Poco importa. Siamo felici entrambi. Posso posare la valigetta e la coppa per uscire a festeggiare. È vero che cammino ad una spanna da terra ma non si vive di solo Subbuteo. Stasera pensiamo un po’ a noi.

Domani sarà il caso di ricominciare a pensare all’organizzazione della serie D. Il tempo stringe. Le cose da fare sempre tante. Ho raggiunto un obbiettivo personale, dobbiamo raggiungerne un altro di squadra. La valigetta resterà in un angolo per qualche giorno. A Castelvetro Piacentino ci giocheremo una parte della stagione che coinvolge un club intero.

Forza ragazzi! 

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