Capitolo 3
Un vecchio spot pubblicitario della Sip, l’azienda che fino al 1994 si occupava della rete telefonica italiana, recitava: “una telefonata… allunga la vita”. Nel caso di Antonio e Francesco, la chiamata del primo verso il secondo, significò il prolungamento della vita subbuteistica di entrambi e coincise, in pratica, con la nascita del loro club.
Francesco, inizialmente, risultò abbastanza freddo e distaccato nell’ascoltare l’amico che gli prospettava un incontro con l’ostico e conservatore Don Ulrico, il vulcanico Alessandro conosciuto al Centro Commerciale e il suo misterioso ospite. Anche se erano passate alcune settimane, il ricordo del goal, per lui irregolare, subito da Antonio, era ancora vivo. Così come il tempo e le energie investite inutilmente per mesi per trovare nuovi giocatori.
Ma spesso l’amicizia, soprattutto quelle di lunga data, rende tutto più difficile. A volte riuscire a dire un secco e convinto no, è molto più complicato di quello che si potrebbe immaginare. È sempre difficile dire o fare qualcosa che possa essere causa di delusione verso una persona a noi cara.
E allora ecco i due amici incontrarsi davanti all’oratorio di San Luigi Gonzaga. Un saluto leggermente meno affettuoso del solito, seguito dalle tradizionali domande di rito e la consapevolezza reciproca che certamente l’incontro era stato meno caloroso di quello che ci si poteva aspettare. Ma non c’è tempo per ragionare o interrogarsi. Da una sala sbuca Alessandro che, con mal celato entusiasmo, richiama con ampi gesti la loro attenzione.
I due si avviano verso questo personaggio che, indubbiamente, sprizza energia da tutti i pori e che definire particolare, sembra loro sempre più azzeccato. “Finalmente! Venite, venite dentro. Il Don ci aspetta ed è arrivata anche la sorpresa che vi avevo detto!”.
Subito all’interno della sala, li accoglie Don Ulrico. Tonaca d’ordinanza. Espressione seria. Una delle due folte sopracciglia, sempre alzata a disegnare uno sguardo a metà tra il rimprovero e lo scocciato. Sullo sfondo una tavola di legno, perfettamente appoggiata su due cavalletti, con sopra, perfettamente steso, un campo di Subbuteo completo di sponde, porte in metallo e bandierine del calcio d’angolo. Chino sul campo uno strano personaggio in giacca e cravatta, impegnato a fare agganci e tiri al volo.
Alessandro lo chiama: “Gabri, molla gli omini e vieni qui che ti presento ai nostri amici! Francesco, Antonio, lui è mio fratello Gabriele! Abbiamo trovato il quarto per mettere su la squadra!”. Gabriele si avvicina dandogli la mano “Ciao ragazzi, piacere. Il mio amico Don Ulrico lo conoscete già vero?”. I due amici annuiscono mentre il Don li saluta alzando alternativamente le sopracciglia come se fossero mosse da un filo sottile.
Alessandro li incalza “Dai forza, venite a provare il campo! Questo qui è il mio. Uno lo prende l’oratorio e siamo a due. Se le cose prendono piede e iniziamo ad essere in tanti, ne prenderemo altri!”. Antonio non se lo lascia ripetere ed inizia a giocare.
Francesco gli si avvicina mentre Alessandro inizia a tempestarlo di domande sulla federazione e sull’iscrizione ai campionati. Intanto Gabriele parlotta con il prete che, senza sprecare troppe parole, rivolge ai presenti un saluto veloce e se ne va con passo svelto.
Ora l’attenzione di tutti è rivolta verso Alessandro che ha preso carta e penna ed ha iniziato a prendere appunti sulle cose da fare. “Allora. Io direi che potremmo trovarci qui al giovedì sera nel dopo cena. Poi, al sabato pomeriggio, veniamo giù un paio d’ore a far giocare i ragazzi dell’oratorio. Che ne dite?”. Gabriele anticipa tutti. “Ale, va piano. Per quello che mi riguarda, te l’ho già detto. Non ho voglia di star dietro ai ragazzini, non ho pazienza. Per tutto il resto, nessun problema, come ho trovato la sala, posso trovare tutto quello che ci serve”.
Alessandro rivolge lo sguardo speranzoso prima verso Antonio e poi verso Francesco, che si guardano un po’ spaesati. “Alessandro, mi sa che non abbiamo capito. Rallenta e ricomincia dall’inizio!”. Alessandro posa la biro sul tavolo, si gratta la testa e sorride. “Ok. Allora Gabriele è riuscito a convincere Don Ulrico a darci questo saloncino per poter mettere giù i campi e trovarci per giocare noi e per far giocare i ragazzi. Il prete ci ha anche detto che mette i soldi per un altro campo. Poi noi, con Gabriele, siamo quattro e così possiamo portare avanti il progetto di aprire il club ed iscriverci in federazione. Tutto chiaro? Che ne dite?”.
I due amici si guardano ma stavolta con un sorriso, di certo appena accennato, ma sufficientemente evidente per tutti. Soprattutto per Alessandro che sbatte le mani tra loro ed inizia a strofinarle in segno di grande soddisfazione mentre Gabriele richiama l’attenzione di tutti “Ragazzi io devo andare. Organizzate voi, tanto ci vediamo giovedì e mi fate sapere.” “Ok!” replica Alessandro, mentre Antonio e Francesco lo salutano quasi con timidezza.
I tre riprendono a parlare del futuro, della nascita del club, dei tornei da fare. Tante idee ma lo stesso problema di qualche tempo prima. La mancanza di soldi cronica. Il vil denaro è condizione fondamentale per riuscire ad avviare tutti i progetti messi sul tavolo. Urge trovare una qualsiasi soluzione, naturalmente lecita e legale, per avere un minimo di liquidità necessaria per iniziare, al di là della sola autotassazione non sufficiente e che, soprattutto, diventerebbe troppo onerosa per le tasche dei quattro amici.
Purtroppo però non c’è più tempo. Dalla porta sbuca la sig.ra Gina, un’emissaria di Don Ulrico. L’oratorio chiude e bisogna spegnere le luci e chiudere. Alessandro prova a temporeggiare ma la sig.ra Gina è irremovibile. I tre si danno appuntamento a giovedì sera per giocare e iniziare a compilare i moduli per l’iscrizione in federazione e per definire le strategie economiche.
Rimasti soli, Antonio chiede a Francesco “Allora? Che ne pensi?”. Francesco fa un lungo respiro. “Non so che dire. Tutto bello, ma mi sembra che stia succedendo tutto molto in fretta. Alla fine, non c’è ancora niente, non siamo ancora niente e mancano i bèsi… gli sghei… e non è problema da poco. Boh… non so che dire…”. Antonio lo osserva e annuisce. F
orse senza rendersene conto, i due sono passati dall’entusiasmo di una nuova avventura, alla consapevolezza che si stanno per imbarcare su una nave senza timone, senza vele e senza un capitano. Improvvisamente si sentono quasi spaventati da quello che li aspetta, poi Antonio rompe il silenzio “Fra, secondo me ce la possiamo fare. Se ci organizziamo… perché non dobbiamo riuscirci? Poi, rispetto a quando volevamo partire, adesso non siamo più solo noi due! Ora siamo in quattro. Vuol dire che possiamo fare molto di più, faticando molto di meno! Poi Alessandro mi sembra pieno di idee e di voglia di fare e Gabriele ci ha trovato la sala e dice che può trovare tutto quello che ci serve”.
Francesco annuisce più per dovere che per reale convinzione. I due si danno appuntamento a giovedì e Francesco, andando verso la macchina, inizia a riflettere su quello che era appena successo. Quattro persone, una sede, un paio di campi. Alla fine, lo scenario non era così brutto o impraticabile. Certo c’era molto da fare ma le basi potevano essere buone.
Almeno così sembrava…
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