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Per chi non l’avesse mai visitato, potrei dire che andrebbe fatto almeno una volta nella vita perché l’Uruguay, una nazione di 3 milioni di abitanti costretto geograficamente e storicamente tra i due colossi Brasile ed Argentina, vale la pena di essere vissuto dal di dentro.

Se andiamo a ritroso nel tempo e nella storia, è facile vedere come il popolo uruguagio abbia sempre dovuto lottare per rivendicare quello che, in definitiva, è suo: il Mate, il Tango, la nascita di un’icona quale Carlos Gardel, tutti elementi che, per un motivo o per l’altro, la storia ha fatto scivolare in maniera sorniona verso l’altra sponda del Rio de La Plata e, quindi, verso l’ “odiata” Argentina.

Ma se c’è una cosa sulla quale non si discute, questo è il calcio vissuto dagli uruguagi come una seconda religione fino a far dichiarare che al posto di una canonica caserma di confine, su quest’ultimo andrebbero posizionate delle porte da football come fece notare l’ex calciatore argentino Jorge Valdano (“L’Uruguay è uno di quei paesi dove dovrebbero mettere delle porte di calcio alle frontiere. Al visitatore sarebbe chiaro che quel paese altro non è che un gran campo di football con l’aggiunta di alcune presenze accidentali: alberi, mucche, strade, edifici…”)

Il calcio uruguaiano è unico nel suo genere rispetto a quanto accade in Argentina, in Brasile, in Perù e in (quasi) tutti gli altri stati dell’America Latina, forse in conseguenza delle fortissime influenze esercitate dal calcio di origine europea.

Quando la “Celeste” (ovvero la Nazionale) scende in campo, qualcosa di magico la circonda e tutt’intorno l’atmosfera che proviene dagli spalti pervade lo spettatore, soprattutto quello neutrale, come il sottoscritto che un giorno ha avuto la fortuna di assistere ad un Uruguay – Argentina vinto dai padroni di casa nel tripudio generale.

E che la Celeste goda di rispetto è indubbio da quella lontana Copa America del 1935, giocata in Perù, allorchè, dopo una vittoria sull’Albiceleste argentina, i giornali di Buenos Aires titolarono “Hanno tredici abitanti ma undici sono calciatori professionisti e ci hanno battuto”: poche righe per sintetizzare un concetto: ci avete rubato molte cose ma il calcio no, è la nostra identità.

Se poi andiamo ad approfondire il concetto addentrandoci nella realtà del Paese raggiunto via mare per la prima volta dall’esploratore spagnolo Juan Diaz de Solis, scopriamo che la stessa capitale Montevideo rappresenta un microcosmo dotato di una propria identità culturale e, soprattutto, calcistica con ben 16 società professionistiche di calcio (delle quali 13 militano nella massima divisione) distribuite nei vari quartieri (barrios) della città.

Un numero davvero importante che permette alla capitale uruguaiana di superare il dato di Londra ma non quello della detestata Buenos Aires.

Ma se le squadre professionistiche della capitale sono così tante, è altrettanto vero che sono due le compagini che dettano legge e che danno vita ad una delle battaglie calcistiche più infuocate dell’intero panorama del football mondiale: si tratta di Nacional e Peñarol che danno vita al “Superclasico”.

La prima delle due ad essere fondata fu il Penarol, le cui origini risiedono, come spesso accade in America Latina, nella comunità britannica insediatasi nel Paese per contribuire alla costruzione della rete ferroviaria.

Come accadeva in Inghilterra, i lavoratori (in questo caso i ferrovieri) davano luogo alla fondazione di circoli ricreativi per il dopolavoro e, nel nostro caso, fu fondata la C.U.R.C.C. (Central Uruguagia Railway Cricket Club) dai colori sociali giallo e nero in onore ai classici colori delle ferrovie britanniche: era il 1891.

Nel 1914 la compagnia ferroviaria venne nazionalizzata e anche la neonata squadra di football cambiò il proprio nome ispirandosi al luogo in cui si trovavano i terreni sui quali sorgeva il campo da gioco, terreni appartenuti ad un immigrato piemontese, tale Giovan Battista Crosa, che li aveva coltivati a vigna e per i quali aveva voluto mantenere il nome della sua città d’origine, Pinerolo. Proprio in virtù di quest’origine, il nome del club fu cambiato in Club Atletico Penarol che manteneva, comunque, i colori sociali giallo – neri.

E i natali del grande rivale ? Nacque nel 1899 dalla fusione tra Montevideo Football Club e Uruguay Athletic con il nome di Club Nacional de Football, ma conosciuto da tutti come Nacional, una sorta di “nomen omen” a testimoniare il fatto che questa era la squadra destinata a dominare l’Uruguay e a diffondere la sua superiorità sui campi di gioco ben oltre i patri confini.

Ad ulteriore conferma di tali premesse, vale la pena sottolineare come i colori sociali del Nacional sono quelli della bandiera di Josè Gervasio Artigas, eroe indipendentista e forte oppositore dell’allore ordine pre – costituito.

Già da queste premesse di carattere storico – politico, si capisce come l’obiettivo dichiarato del Nacional fosse quello di opporsi in tutto e per tutto al Penarol; era nata la grande rivalità tra Bolso (Nacional) e Carbonero (Penarol).

E la rivalità crebbe, sin da subito, tra i sostenitori delle due squadre e non è difficile argomentare come, parlando di tifo organizzato, questo sia nato proprio a Montevideo con i primi spostamenti effettuati dai ragazzi tifosi del CURCC che dai quartieri residenziali si spostavano verso Villa Penarol per assistere alle partite del team Carbonero.

Ma anche dalle parti del Nacional non si scherzava e ben presto le bande tifose del Bolso presero il sopravvento (in Fig. 1 e 2 le immagini delle due curve)

La casa del Penarol è il celebre Estadio Centenario, mentre quella del Nacional è il pittoresco Gran Parque Central ma, per motivi di ordine pubblico, tutte le partite più importanti ed infuocate, come il Superclasico, si disputano al Centenario.

Nel corso degli anni entrambe le squadre hanno vissuto cicli particolarmente produttivi dal punto di vista dei titoli e della notorietà e anche la storia dei trionfi della Celeste insegna che la nazionale uruguaiana si è sempre basata sui giocatori dei due club più titolati: se il trionfo del 1930 si connotò per una nazionale formata in prevalenza da giocatori del Nacional, il colpaccio del 1950 al Maracanà vide protagonista una Celeste dalle forti tinte “aurinegros” del Penarol che, proprio in quell’anno, vinse la prima Copa Libertadores di marca uruguagia.

Ma Nacional e Penarol sono stati anche la fucina di grandi campioni quali Alcides Ghiggia, Obdulio Varela, Pepe Schiaffino, Paolo Montero e Diego Forlan (sponda Penarol), Atilio Garcia, Hector Scarone, Alvaro Recoba, Diego Lugano, Diego Godin e Luis Suarez (sponda Nacional).

Se volessimo riassumere in una frase la rivalità esistente tra i due club, potremmo citare una frase del Maestro Galeano: “Juan Alberto Schiaffino e Julio César Abbadie giocavano nel “Peñarol”, la squadra nemica. Da buon tifoso del “Nacional” facevo tutto il possibile per riuscire ad odiarli”.

I numeri del campo ci dicono che, nell’ambito di tutti gli incontri disputati (506 quelli ufficiali), il Penarol ne ha vinti 180 contro i 165 del Nacional (161 i pareggi).

Tra i trofei vinti dal Nacional spiccano i 47 titoli nazionali, le 3 Coppe Libertadores ed altrettante Coppe Intercontinentali; il Penarol, dal canto suo, vanta 52 campionati nazionali, 5 Coppe Libertadores e 3 Coppe Intercontinentali a testimonianza del fatto che si tratta di squadre in grado di primeggiare sia in patria che all’estero.

“EL CALSICO” nel Subbuteo

E nel nostro bel mondo tutto verde del Subbuteo come si posizionano Nacional e Penarol? Direi molto bene, soprattutto in tema di valore assoluto di entrambe le tipologie di squadre (HW ed LW). Si tratta di ref non proprio comunissime, soprattutto nelle versioni HW anche se chi vi scrive ha avuto la fortuna di ritrovarsele in casa grazie alla passione, sin da ragazzino, per il calcio sudamericano.

Partiamo proprio dalle miniature più antiche, ossia le HW. Il Nacional, in questa versione, è presente con la ref 302 (Fig. 7) caratterizzata dalla tipica maglia rossa con colletto bianco (maglia d’esordio del Bolso), pantaloncini e calzini bianchi e con base bianca ed inner rosso.

Sempre nell’ambito delle squadre HW, il Penarol è rappresentato nella ref. 30 per la quale il primo nome, sul catalogo originale Subbuteo, è quello del Cambridge United. La maglia è quella tipica a strisce verticali nere su fondo giallo con calzoncini neri e calzettoni gialli con bordi neri. La base è gialla con inner nero anche se è possibile trovare esemplari con basi ed inner con colori invertiti (fig. 8)

E nel mondo delle LW? Anche qui le versioni non sono molte ma decisamente ben realizzate con la ref. 302 per il Nacional che rispecchia, in termini di colori, quanto visto per la versione HW (vedi Fig. 9). Si tratta di una ref particolarmente rara ed ostica da reperire sul mercato, un po’ come tutte le squadre sudamericane.

In versione LW, il Penarol si presenta con la ref 301 anch’essa, come nel caso dei rivali, basata sulla corrispondente in versione HW per quanto riguarda gli accostamenti cromatici. Si tratta di una ref rara ma non rarissima che, comunque, mantiene un suo indubbio fascino e valore economico (Fig. 10)

Siamo così giunti alla fine della nostra puntata dedicata a due grandi del calcio sudamericano e credo che non ci sia niente di meglio se non lasciarvi con le immagini dell’Estadio Centenario…

Alla prossima puntata!


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