Competizione sì o no tra gli under?

Alcune settimane fa Vi avevo lasciato, se ricordate, con un compito: aiutarmi a trovare un argomento interessante per il mio articolo successivo. Bene, devo dire di essere stata ascoltata ed oggi parlo su un apprezzato suggerimento di “SPORT e COMPETIZIONE” negli under, con particolare riferimento al calcio tavolo. Ho scritto questo articolo a “quattro mani” ossia ho chiesto la collaborazione di un genitore di un giovane calciatore vice Campione europeo u12 ai recenti Campionati di Frameries: Massimo Manfredelli papà di Francesco di Napoli. Io del Piemonte, lui della Campania, io mamma e lui ovviamente papà: due realtà differenti davanti ad uno stesso tema.

In realtà ho preso in considerazione anche le parole di due giocatori del Circuito che si erano espressi in passato in merito all’argomento “competizione” centrando in pieno due aspetti importanti.

Il primo riguarda il fatto che moltissime attività da noi svolte non sono isolate, ma vissute in competizione. Non solo lo sport, ma anche l’ambito lavorativo o quello scolastico, per i più piccoli, possono portare alla competizione vissuta con rivalità con altre persone. Penso ad esempio agli alunni delle mie classi quarta elemnetare: anche una semplice prova di verifica o un’interrogazione vengono viste spesso sotto la luce della competizione in quanto si presta molta attenzione al voto del compagno , spesso spinti anche da amici e genitori.
Questo esempio per far capire che la nostra vita e’ “ricca” o “povera” (a seconda dei punti di vista) di competizione. Sta a noi viverla in modo sereno e “sano” e offrire ai ragazzi gli strumenti per renderla tale. Quindi la competizione e’ una componente fondamentale della nostra vita quotidiana: tutto sta nel saperla affrontare con il giusto spirito.
Il secondo aspetto molto importante da tenere in conto e’ che la competizione spesso viene creata e “montata” dal genitore che in questo modo fornisce al figlio un messaggio sbagliato. All’under interessa prima di tutto giocare e l’aspetto agonistico viene da lui vissuto in modo diverso rispetto all’adulto, ed in modo sicuramente meno sfrenato e “cattivo”.

Mi pongo dunque questa domanda: è più efficace il piacere del gioco o il risultato della gara?

Non si può adattare il comportamento agonistico all’importanza della gara.
Il giocatore va abituato fin da bambino a giocare ogni partita nel modo migliore. Questo modo di “vivere” una competizione dà sicurezza e scarica la tensione. Se si esagera invece sull’importanza della gara, si crea nel bambino una sorta di ansia da prestazione generata dalle grandi aspettative riversate dagli adulti nella sua partita, perdendo così concentrazione e lucidità. S’ingigantisce la forza dell’avversario e si passa dal proporsi per vincere al difendersi o al giustificarsi per non perdere.
E’ necessario quindi insegnare a giocare per divertirsi e non solo per vincere, imparando così sempre qualcosa al di là del risultato raggiunto.

Ora passo la parola, o meglio la “penna”, a Massimo.

Il gioco e lo sport in generale, inevitabilmente originano competizione e quest’ultima determina vincitori e sconfitti: a me piacerebbe invece parlare solo di “partecipanti”. L’agonismo, per gli under, può essere, da un lato, molto stimolante e formativo, dall’altro può diventare faticoso, impegnativo e fonte di stress. Questo soprattutto per i “piccoli” under 12 che sono anche più fragili caratterialmente ed ancor di più impreparati a gestire la pressione agonistica e le proprie emozioni.
“Facciamo partecipare attivamente i nostri figli alle competizioni in giro per l’Italia per farli divertire, per farli crescere, per farli conoscere o perché siamo ambiziosi ed iper competitivi?” Questa è la domanda che mi sono posto quest’anno, prima, durante e dopo i diversi tornei a cui Francesco (Manfredelli) ha partecipato.

Da genitore, ho cercato di garantire il giusto equilibrio tra divertimento ed agonismo, ritagliandomi il ruolo di “papà accompagnatore”. Ho provato a non fargli sentire la pressione della competizione, lasciandolo libero di giocare e divertirsi favorendo soprattutto l’aggregazione. Ricordo ancora l’ emozione per la sua prima trasferta, a Bagheria in un torneo u15: non immaginava, non sapeva, non si fermava mai…
Purtroppo, la partecipazione genera inevitabilmente la competizione: ho assistito a match davvero appassionanti e combattuti cosi come a partite dove le differenze in campo erano evidenti, ma anche a partite dense di fair play che strappavano sorrisi anche tra i genitori spettatori. Francesco confrontandosi con altri under ha conosciuto “la competizione”, con le prime soddisfazioni e le prime sconfitte, iniziando ad impattare con i primi ostacoli, accettando i propri limiti e comprendendo che possono essere superati con costanza ed impegno.
Il partecipare, il competere lo ha aiutato e lo aiuterà a crescere. Per questo cercherò anche quest’anno, laddove possibile, di fargli prendere parte a qualche torneo. L’errore però è dietro l’angolo e in un attimo si può superare la sportività!

Concludo ammettendo che, agli ultimi Europei, durante la competizione a squadre, mi sono fatto prendere dal tifo e l’emozione alle volte gioca brutti scherzi…

Grazie a Massimo per aver accettato la mia richiesta e di aver espresso il suo pensiero.

Cosa ne pensate di questo esperimento? Ossia di scrivere insieme ad un’altra persona su uno stesso argomento? Chi tra Voi mi aiuterà? Aaspetto i candidati…..

Marina

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